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News - ARCI Servizio civile

16.09.13

La miccia accesa dei CIE

Dal Friuli Venezia Giulia alla Calabria, da Gradisca d'Isonzo a Isola Capo Rizzuto, sono esplose in queste settimane le rivolte nei Cie d'Italia. Il centro di identificazione ed espulsione di Isola Capo Rizzuto a Crotone è chiuso da una ventina di giorni dopo la rivolta degli immigrati seguita alla morte di Moustapha Anaki, marocchino di 31 anni deceduto a causa di un malore in circostanze ancora da chiarire. L'uomo era recluso nel Cie da circa un mese perché immigrato irregolare in attesa del rimpatrio ed era stato trasferito nel centro calabrese dopo avere scontato una pena nel carcere di Salerno. Si trovava in Italia da sette anni, ed era sprovvisto di permesso di soggiorno.

A Gradisca d'Isonzo invece la protesta è scoppiata quando gli immigrati hanno chiesto di poter rimanere negli spazi aperti in occasione della fine del Ramadam la sera del 10 agosto e per tutta risposta le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno cominciato a lanciare lacrimogeni e ad usare i manganelli. Nel tentativo di fuga seguito a questo episodio due persone sono cadute dal tetto e una è tuttora ricoverata in gravissime condizioni. Dopo giorni di tensioni e tentativi di mediazione, sabato scorso c’è stata una doppia manifestazione con le associazioni della società civile fuori a chiedere la chiusura del campo e i migranti dentro, abbarbicati sul tetto dell’edificio.

Nella manifestazione sono state denunciate le restrizioni delle libertà personali ingiustificate e ormai divenuto prassi nel Cie: divieto dell’uso dei cellulari, divieto di possedere libri, quaderni, penne e matite, divieto di utilizzo degli spazi esterni e della mensa (i pasti venivano consumati nelle stanze). Episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio e abuso di psicofarmaci sono sempre più frequenti in questi luoghi che l’ultimo rapporto di Medici per i  Diritti Umani non ha esitato a definire come sempre più simili a lager.

La politica del “rispediamoli tutti a casa” non solo non funziona ma ha, oltri agli elevati costi umani, anche un costo economico salato: 1 miliardo e 600 milioni in dieci anni.

ARCI Servizio Civile Friuli Venezia Giulia con un comunicato stampa ha “espresso solidarietà e sostegno ai movimenti che chiedono la chiusura dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), la riforma in tal senso della legge 189/2002 (Legge Bossi-Fini) e la tutela dei diritti dei cittadini migranti, a seguito degli episodi verificatisi in diversi centri nazionali.

ARCI Servizio Civile FVG, che ha come capisaldi  la promozione di una cultura della pace e della solidarietà, si unisce quindi alla campagna promossa dalla rete LasciateCIEntrare, chiede che vengano rispettati i fondamentali diritti e la dignità umana dei trattenuti nei campi e si auspica che le istituzioni si muovano nella direzione di abolizione dei CIE che la stessa presidente della regione, Debora Serracchiani, ha definito come “luoghi di cui si debba assolutamente fare a meno”.”



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