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News - ARCI Servizio civile

22.06.12

Operatori Civili di Pace

 

 

 

Nei giorni scorsi si è tenuto presso lo spazio Arac del Giardino Pubblico "de Tommasini" a Trieste il workshop formativo, organizzato da ARCI Servizio Civile, in collaborazione con il Comitato “Danilo Dolci” e il progetto “In Boschetto”, con la partecipazione di Pat Patfoort, antropologa belga di fama internazionale.

Il workshop è stato inserito all'interno di un percorso di formazione per Operatori Civili di Pace rivolto particolarmente verso i giovani impegnati nel Servizio Civile  e grazie al supporto dell'ARCI  Servizio Civile ha rappresentato un'occasione utile e molto interessante per quanto riguarda i metodi di risoluzione non violenta dei conflitti.

Idea di base che ha animato la serata è stata quella di paragonare i conflitti che riguardano i valloni e i fiamminghi in Belgio con quelli esistenti tra italiani e sloveni a Trieste. I giovani impegnati hanno dapprima svolto un esercizio che li ha visti annotare le problematiche di rapporto tra gli italiani e gli sloveni e successivamente, discuterne assieme a Pat Patfoort.

"Quando ci troviamo di fronte alle persone, di qualsiasi estrazione esse siano" ha introdotto Pat "la prima cosa che notiamo sono le differenze. Non c'è niente di sbagliato nel vederle, osservarle e rendersene conto. Tuttavia quando queste differenze divengono il pretesto per creare una condizione di rapporti maggiore e minore, esse sono difficili da valutare".

"Se siamo a contatto con le persone" ha continuato la Patfoort "e impostiamo dei giudizi di valore nella nostra relazione con esse, allora automaticamente chi subisce il giudizio viene messo in una posizione minore, mentre chi ha espresso quel giudizio si sente in una posizione maggiore. Succede praticamente sempre, però c' è un rischio enorme in tutto ciò: è quello legato all'escalation del giudizio, e quindi della violenza. Da quello che ho capito qui a Trieste gli sloveni si sono sentiti discriminati per molti anni e questo li mette in una posizione minore. Gli italiani vedono nel saper parlare almeno due lingue una situazione favorevole anche dal punto di vista economico e in questo sono loro ad essere in una posizione minore. Quando gli italiani usano alcune espressioni verso gli sloveni e viceversa, allora entrambi i gruppi etnici si sentono in una posizione dominante. Però tutto ciò può essere rischioso".

"C'è infatti tutta una parte di interiorizzazione della violenza che porta poi all'esplosione. Questa interiorizzazione nasce poi dal modo in cui la facciamo nostra. Ci sono modi visibili ed invisibili. Spesso quando parliamo di conflitti notiamo solamente quelli visibili, cioè l'uso del corpo o di oggetti, dimenticando che il linguaggio, verbale o non verbale, rappresenta la prima fase dell'interiorizzazione".

"La catena della violenza è un elemento che è difficilmente arrestabile. Ci vuole tantissimo lavoro perché in ogni istante ci sarà uno dei due soggetti che sarà portato ad assumere una posizione maggiore e l'altro a subirne una minore. Come fare? Bisogna partire dal dialogo. Il linguaggio verbale e non verbale rappresenta il primo campo di lavoro. Bisogna riuscire a parlare ed imparare a farlo. Quando usiamo degli argomenti che possono essere positivi, negativi o distruttivi, sempre tendiamo ad imporre all'altro la nostra visione o a non esprimere completamente ciò che sentiamo. Così succede che la mancata espressione delle proprie idee porti ad un'interiorizzazione, facilmente trasformabile in violenza. Quando ad esempio sul posto di lavoro si pensa di non essere competenti perché il collega o il capo usa un linguaggio non verbale che fa sottointendere proprio questo, allora in quell'istante bisogna trovare il coraggio di chiedere che si parli chiaramente. Perché questo rappresenta la trasformazione dell'argomento in fondamento. E quando si parla per fondamenti tutto diventa più chiaro".

"Quando siamo in grado di giungere a questa trasformazione" ha concluso Pat "allora possiamo, attraverso lo stare insieme, risolvere il problema. Con il lavoro di gruppo possiamo raggiungere una soluzione, perché la posizione di maggiore e minore non rappresentano più niente, avendo trasformato il rapporto su un piano egalitario. La violenza diventa non violenza, gli argomenti diventano fondamenti e la comunicazione mette le radici per riprendere il rapporto e farlo rinascere. Però bisogna parlare e comunicare. Senza non è possibile farlo".

Il Percorso di formazione, che si tiene grazie al contributo della Regione Friuli Venezia Giulia – Servizio volontariato, associazionismo, rapporti con i migranti e politiche giovanili,  proseguirà a settembre con altre giornate di formazione che vedranno la collaborazione di “Peace Games” e “Senza Confini-Brez Meja”.

Info e iscrizioni: ARCI Servizio Civile Trieste  – via F.Severo 31, Trieste   (+39) 040 761683   trieste@arciserviziocivile.it   www.ilprogetto.biz

 



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